Le nostre opere monumetali, tra fede, storia e arte sacra.

La Cattedrale di Nicosia
Monumento di fede
tratto da: L’Osservatore Romano del 31 agosto 1941
n.203 pag.3
di Salvatore Fiore
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Monumento insigne, d’avvita gloria è in Nicosia, città della Sicilia, la splendida Cattedrale con la sua torre merlata, dedicata a San Nicolò di Bari. Sorge essa maestosa a piè di colle, al quale è addossata la città, nel piano sottostante che ne forma come il centro, e conserva in parte l’impronta sublime di quell’arte medioevale, che alla gloria delle nobili tradizioni religiose sapeva bellamente accoppiare gli splendori del genio.
Il visitatore si ferma estatico dinanzi al meraviglioso portale normanno della sua facciata, sormontato dal rosone frontale, e che segna il passaggio graduale dell’arte romanica all’arte gotica: il lento evolversi tra noi ed accomodarsi di quell’arte ricca e leggiadra del Nord alle severità e magnificenza dell’arte romanica del mezzogiorno.
Riuscirebbe ben fredda, anche se stesa da penna più competente, una descrizione precisa atta a ritrarre la impressione soave che desta nell’animo questa porta di paradiso; la quale coi suoi stipiti spiegantisi in largo all’esterno (e poggianti su zoccoli con leoni stanti a rilievo), riccamente popolati di meravigliosi arabeschi, cavelli e colonnine terminanti in capitelli di stile corinzio a destra, e con puttini interi o semplici busti a sinistra; col suo arco normanno a sesto acuto ricco di frastagli, di ricami con foglie d’accanto e cordoni; con le colonnette a spirali esterne, sorreggenti il grazioso timpano coronato da peducci e leggiadri archetti trilobi, forma un insieme che rende estatico l’occhio e il pensiero, e si presenta, quale è fra noi l’arte normanno-sicula, come l’epilogo meraviglioso dell’arte romanica, moresca, gotica: carattere proprio dell’arte siciliana dei primi secoli dopo il mille.
Lo zoccolo, su cui si trovano impostati gli stipiti, discorda nel lavoro dall’insieme della porta, e si rivela opera aggiunta o sostituente l’antica, forse già guasta dal tempo. Opera ancora posteriore – forse del ‘600 – sono la piccola nicchia sotto il timpano con la statuetta di San Nicolò e le quattro statue delle virtù cardinali poste sopra le sporgenze dello zoccolo degli stipiti. Sarebbe desiderabile che questo brutto barocco aggiunto lasciasse libera la visione del classico portale.
Artisticamente bello è pure il magnifico loggiato del lato nord dell’edificio sacro, prospiciente sulla piazza principale, coi suoi archi leggermente acuti, poggianti su colonnine svelte dai graziosi capitelli di stile lombardo, sui quali sono scolpiti alcuni stemmi nobiliari e una effige di San Nicolò. Il loggiato doveva certamente seguire tutta la percorrenza esterna del lato, e con danno dell’arte venne ridotto dalla posteriore costruzione della sagristia, come si rileva dalla spezzatura d’uno dei suoi archi.
Questi avanzi preziosi dell’arte normanna fanno rimpiangere il resto dell’edificio esterno, sostituito, per la generale mania di tutto modernizzare o meglio spesso deturpare, nel secolo XVIII da un rivestimento in pietra lavorata nello stile neo-classico toscano, del tutto discorde dalle parti conservate. Monumento però ancora più importante, dichiarato già nazionale è la massiccia torre sorgente sul lato destro della facciata della Cattedrale. La parte più omogenea allo stile del tempio si estende fini al secondo ordine, al cornicione cioè dalle sporgenti mensole sopra gli archi a sesto acuto murati, con cordoni ed arabeschi rosoni di centro e stemmi d’Aragona .
Nel primo piano il cornicione poggia sopra graziosi archetti trilobi ricorrenti tutti i lati all’ingiro. Al secondo piano nell’arco di prospetto è praticata una graziosa finestra trifora, impostata su sagoma normanna; negli archi invece dei lati e posteriore, identici con qualche variante di adorni all’arco di fronte, le finestre sono bifore con sottili colonnine divisorie e capitelli non perfettamente corinzi. Nell’insieme del lavoro si scorge lo stile della storia principale e si ritiene che la torre sorgesse poco prima della costruzione del magnifico tempio, a cui non fu propriamente attaccata, distando da due a tre metri dal muro del prospetto. Il piano ultimo con i suoi merli in cima, gli archi tondeggianti piccoli e le finestrine bifore sembrerebbe opera sovrapposta; ma da un attento esame si direbbe di poco posteriore alla parte sottostante, e segna come un richiamo più spiccato dell’arte romanica. Assai recente però è la guglia terminale costruita con mattonelle policromi. Questa torre campanaria oggi si presenta come uno dei monumenti più belli dell’arte normanno-sicula, la quale con le sue sublimi ispirazioni ha impresso tra noi orme incancellabili. Non è possibile segnare con precisione l’epoca della sua costruzione; e sembra che dovette oscillare tra il 1200 e il 1300 e non più tardi del 1400. Entrando nel tempio sacro l’occhio ne ritrae una impressione soave. Nulla però dell’antico è rimasto: ogni traccia ne è rimasta cancellata. Solo nella parte oggi chiusa tra il tetto e la volta della navata di centro si può ancora scorgere qualche avanzo dell’arte medievale. Difatti, l’antica travatura insieme al soffitto è in gran parte ancora coperta di pitture pregevoli di Santi Dottori, Martiri, Vergini di formato intero; teste di Santi e di Cherubini di una bellezza ideale; adorni della solita figurazione bestiaria di una esecuzione artisticamente pregevole. Dai movimenti delle figure, dalla maniera di rappresentare i Santi, dall’insieme dei colori e dalle iscrizioni in caratteri gotici si è indotti a credere che l’opera dovette essere eseguita nel quattrocento. Questo soffitto doveva essere di un effetto meraviglioso, ed oggi si deplora la sostituzione con la volta che lo rese invisibile e trascurato. La chiesa è a croce latina con le tre navate divise da colonne di ordine dorico, sulle quali poggiano archi romani, e le volte sferiche con archetti a lunette sulle finestre della navata di centro. Sulla crociera sorge una bassa cupola rettangolare all’esterno ed ottagono all’interno con volta a legno colorato e dorato, nei cui riquadri attorno spiccano buone pitture di santi e nel centro sta distesa una bella statua del titolare.

Tutto l’interno si presenta lindo, armonioso, sullo stile del rinascimento, col pavimento in marmo a colori e bianco, con ornati ori e affreschi; fra cui bellissimi quelli della volta di centro, del transetto e del presbiterio raffiguranti fatti e allegorie del Vecchio e del Nuovo Testamento; dove la morbidezza, la bellezza e la plasticità delle figure armonizza con un intreccio di luci e di colori, e segna all’ammirazione i palermitani fratelli Manno, dell’Accademia di Santa Luca i quali compirono il lavoro nel 1810. Dando poi uno sguardo fuggitivo ai tesori artistici che si conservano nell’interno della Cattedrale, appena entrati ci s’ incontra subito col Battistero, posto nella navata di sinistra vicino alla porta. Il fusto che sorregge la pila è il lavoro più perfetto del complesso dell’opera tutta in marmo bianco. Le due piccole figure a tutto rilievo di Adamo ed Eva, poste sotto l’albero della scienza, riflettono tutta la tristezza del loro animo, appena consumata la colpa. Essi stanno lì in atteggiamento triste e fiducioso insieme: colle mani incrociate, nella plastica bellezza dei lori contorni, nella viva naturalezza delle forme fanno risaltare la finezza del lavoro, che il Di Marzo attribuisce ad Antonello Gagini. Uno di quella gloriosa famiglia di scultori siciliani, i quali illustrarono tra noi coi capolavori del loro genio il secolo XV. La pila, lavoro pur bello coi suoi ornati e le teste sporgenti di angeli, non presenta tutta la finezza del lavoro del fusto. Sopra uno scudo di fronte porta inciso: «Don Joanni Muccicatu Arcipresti» (cioè, Arciprete). La parte istoriata della parete dietro il fonte, lavoro assai ricco di figurine a rilievo, il quale rappresenta in dettagli vari i principali misteri della passione di Nostro Signore dalla Cena alla Crocifissione e alla Risurrezione, sembra lavoro meno fine, benché assai bello. Anziché al Gagini, potrebbe ascriversi ai suoi due soci Mancino e Vanello venuti in Nicosia tra il 1497 e il 1499. L’opera dovette servire alla custodia del SS. Sacramento; poiché porta inciso sul fregio dell’ultima cornice, sotto la breve piramide terminale: Hic est Corpus D.ni. Ed a base si trova l’epoca in cui fu compiuto il lavoro e il nome di chi lo fece eseguire. Si legge difatti: MDI-V Indicionis Me fieri fecit Franciscus Sfuenti. Opera del Gagini è anche il magnifico bassorilievo del paliotto dell’altare del Padre della Provvidenza, rappresentante la sepoltura di Gesù. Il lavoro è di una finezza inarrivabile e il gruppo delle piccole immagini sembra muoversi e vivere in una mestizia ed abbattimento d’animo indescrivibile. Del Gagini è pure ritenuto il pergamo in marmo bianco. Di forma ottagona, con le figure in alto rilievo di Gesù Risorto, dei Santi Appostoli Pietro e Paolo, del Battista e di S. Nicolò, esso sorge sopra una colonna di marmo con capitello corinzio. Meravigliose e veramente artistiche sono le culture in legno; lavoro eseguito dai nicosiani Giovanni Battista e Stefano Li Volsi, padre e figlio, condotto a fine nel 1622 come risulta dalla iscrizione incisa nel primo riguardo istoriato a sinistra: Nicosiensis Joanes Baptitsa (?) et Stephanus Li Volsi incidebant 1622.
Tutto il coro ha 24 riquadrature: quattro istoriate e venti ornate, oltre i sottoriquadri, i fregi e gli ornati in alto. Le prime riquadrature, le più perfette, sono un richiamo magnifico delle stupende porte del Ghiberti, poste nel bel San Giovanni di Firenze e che il Buonarotti riteneva esser veramente degne del Paradiso. Nei riquadri istoriati ricorrono in rilievo: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, il Martirio di San Bartolomeo, l’Incoronazione della Vergine, con la Città di Nicosia, sotto, qual’era prima dell’avvallamento dell’anno 1757 e San Nicolò che getta nella finestra i pacchetti con loro nella casa delle tre donzelle povere. In queste sculture tutto sembra muoversi e vivere in un lavoro geniale fine: tra ornati che somigliano alle opere di cesello dei rinomati incisori fiorentini, con una magnificenza di disegno e gusto inarrivabili. Lo sguardo dell’amatore del bello artistico non può staccarsi da tante bellezze d’arte, dove l’aria sembra che circoli libera tra le pieghe delle vesti e tra gli alberi, e le casette, che si disegnano or forti or degradanti a seconda delle distanze. In quest’opera i Li Volsi seppero superare il decadimento dell’arte del secolo, richiamando le più belle tradizioni del cinquecento. Opera pure assai pregevole è il Cristo spirante di Frate Umile Pintorno da Petralia, condotto a fine il 1665. È incredibile la pietà dei nicosiani verso questa Immagine Divina invocata col titolo di Padre della Provvidenza. Frate Umile, a somiglianza del Beato Angelico, doveva scolpire in ginocchio le sue stupende immagini del Cristo morente, dove ha trasfuso tutta la grandezza, tutta la sublimità del martirio dell’Uomo-Dio. Il Martire Divino qui si erge maestosamente ritto sui piedi inchiodati alla Croce, nella sua naturale grandezza, con le braccia ed il petto aperti, con la sua fronte alta, come vero dominatori dei secoli. Sul suo volto bellissimo è dipinto tutto lo spasimo, tutta la crudezza del dolore e insieme tutta la dolce voluttà del suo sacrificio per amor degli uomini. Egli è la vittima espiatoria che in quel momento supremo pare rivolga al padre, cui tiene rivolto lo sguardo, la sua sublime preghiera: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. Dinanzi a questo toccante simulacro di Nostro Signore l’animo rimane rapito rimembrando le sublimità di quel vaticinio: Cum exsaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum.
Tra i quadri della Cattedrale sono degni di menzione il martirio di S. Sebastiano attribuito a Salvator Rosa e il martirio di S, Bartolomeo, ritenuto dello Spagnoletto, posti in alto di fornte sulle pareti laterali del presbiterio.
Bellissima inoltre, perché lavoro recente, è la cappella del SS.mo Sacramento, con le pareti, l’altare e la balaustra tutti intarsiati con marmi colorati finissimi e disegni a mosaicofiorentino di meraviglioso effetto.
La chiesa Cattedrale di Nicosia fu consacrata da S.E. Mons. Camillo Milana addì 15 giugno 1856.
Il Governo italiano l’ha dichiarato Monumento Nazionale col R.D. del 21 novembre 1940.
E l’attuale Capitolo merita di essere additato alla ammirazione della città e diocesi, perché, sostenendo spese ingenti, in questi ultimi anni ha curato i restauri del sacro tempio, che forma una pura gloria delle fede e dell’arte siciliana.

Salvatore Fiore
31 agosto 1941
(referenze fotografiche: Nicola Biondo e Santo Spinelli)