Tutela linguistica in Sicilia
I Sindaci dei Comuni del “Galloitalico” si riuniscono
a San Fratello (Me)


Sabato 30 aprile 2022, presso la sede comunale di San Fratello (Me) si è svolta una conferenza dei sindaci e delegati di 14 comuni siciliani (ma il numero è maggiore) in cui si parla il dialetto galloitalico, siglando un accordo definito “Reti dei comuni del galloitalico” ed avendo come obbiettivo prioritario la conservazione e la tutela della “lingua” che contraddistingue le parlate dei cittadini di questi comuni, tramandate dalle originarie popolazioni provenienti dal Nord Italia a seguito dei soldati normanni alla conquista della Sicilia nel XI secolo.
Erano presenti alla conferenza i rappresentanti dei Comuni di: Aidone, Buccheri, Caltagirone, Cassaro, Ferla, Fondachelli Fantina, Montalbano Elicona, Nicosia, Novara di Sicilia, Piazza Armerina, San Fratello, San Piero Patti e Sperlinga.
Ha fatto parte del tavolo della presidenza anche il senatore Fabrizio Trentacoste (di Enna) che a novembre 2020 aveva già presentato un disegno di legge a modifica all’articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
Ecco il testo dell’art. 1 del disegno di legge:
L’articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, è sostituito dal seguente: « Art. 2. – 1. In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e delle comunità galloitaliche della Sicilia, nonché di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo».
L’accordo sottoscritto a San Fratello si prefigge il conseguimento di obiettivi comuni di tutela, conservazione e diffusione della lingua ed è anche finalizzato a riunire simbolicamente le popolazioni di origine galloitalica. In questo primo triennio (2022-2024) l’accordo sarà realizzato da soggetti amministrativi istituzionali quali gli assessori ai patrimoni culturali e al turismo dei comuni di Piazza Armerina e Aidone, mentre la parte scientifica sarà di competenza del presidente pro tempore del “Progetto Galloitalici” dell’Università di Catania, l’emerito prof. Salvatore C. Trovato (nicosiano) il quale ha già intrapreso da anni visite, presentazioni di libri e scambi culturali con associazioni ed istituzioni del Monferrato piemontese e del retroterra ligure.


IL DIALETTO GALLOITALICO NICOSIANO
intervista a Salvatore C. Trovato
emerito professore presso l'Università di Catania
(ordinario di linguistica generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia)

Nicosia, 22-23 luglio 2019
Professore Trovato,
è da molto tempo che a Nicosia c’è grande entusiasmo per la riscoperta delle poesie e delle opere teatrali in dialetto galloitalico. Su 5 compagnie teatrali esistenti in città 2 recitano in galloitalico, richiamando numeroso pubblico. Certo, a lei e ai suoi collaboratori va il merito di aver tenuto in auge gli studi sui dialetti galloitalici della Sicilia e sul nostro dialetto in particolare addirittura con la fondazione dell’ “Associazione per la conoscenza e salvaguardia dei dialetti galloitalici della Sicilia”.
Mi fa davvero piacere sapere dell’entusiasmo delle compagnie teatrali nicosiane per il galloitalico parlato in città. Da sempre sostengo che il dialetto (qualsiasi dialetto, e tanto più il nostro) può essere salvato dall’interesse che si saprà suscitare per esso da parte degli istituti culturali (scuola, teatro, turismo culturale, musei etnografici ecc.) e dei parlanti stessi. 
La sua partecipazione in Piemonte a Cella Monte (AL) e a Torino al Salone Internazionale del Libro per la presentazione del suo lavoro dal titolo “Parole Galloitaliche in Sicilia” il 12 e 13 maggio, ha destato interesse nei cittadini piemontesi per l’esistenza inequivocabile del legame storico-linguistico che unisce nord e sud?
Devo dire che gli amici del Monferrato mi hanno accolto come uno di loro che, dopo tanto tempo, dalla lontana Sicilia è tornato all’antica madre e ha parlato di un’emigrazione verso la Sicilia che ha coinvolto i loro progenitori tra l’XI e il XII secolo. Emigrazione della quale, localmente, la memoria non aveva conservato traccia. Ho visto alcune signore addirittura commuoversi. So anche che, attraverso il Centro di Studi filologici e linguistici siciliani che l’ha pubblicato, hanno acquistato diverse copie del mio libro per portarlo nelle loro case e, soprattutto, nelle scuole.
Da qualche settimana consulto un vocabolario piemontese e trovo centinaia di parole uguali alle nostre (nicosiane). Desta in me meraviglia scoprire termini non più usati ai nostri giorni, ma che i nonni usavano nel loro parlare quotidiano. È opportuno che il galloitalico sia portato nelle scuole come materia di studio? Può essere inteso come un problema per quanto attiene gli errori di ortografia (mi riferisco alle doppie) comunemente fatte dai nicosiani?
Non mi meraviglia affatto che Lei in un vocabolario piemontese o, a maggior ragione, in uno ligure, trovi parole comuni al nostro nicosiano. L’area di emigrazione medievale dei coloni giunti in Sicilia è costituita dal Monferrato, quella parte d’Italia che coincide con l’Oltregiogo ligure, particolarmente l’area savonese, e con l’Alto Monferrato, coincidente in larga misura con le attuali province di Cuneo, Asti ed Alessandria. Non è inutile ricordare che l’Alto Monferrato è la parte meridionale del Monferrato, montuosa rispetto al Basso Monferrato in pianura (parte settentrionale).
Per quel che riguarda il rapporto tra scuola e galloitalico “come materia di studio”, devo fare delle precisazioni. Dico subito che il galloitalico (di Nicosia, di San Fratello, di Novara o di Piazza Armerina ecc.) non va insegnato a scuola a chi non lo parla o non lo parla più. L’unica cosa da fare, da parte della scuola (e non solo), è creare nei giovani l’interesse per il dialetto, per la cultura che esso veicola, per la storia che in esso si deposita, in un’ottica di educazione plurilingue. Quanto a parlarlo, il dialetto, alle giovani generazioni, se vogliono, non mancheranno i mezzi per farlo. Nel dialetto ci sono le nostre radici culturali e la nostra storia, ed è per questo che non va trascurato. Perché non si vada all’Italia, all’Europa e al mondo, senza radici, senza ancoraggio culturale.
Perché la scuola possa e sappia creare l’interesse per il dialetto, significa che gli insegnanti debbano avere un’adeguata preparazione. Che abbiano studiato linguistica o glottologia all’Università, che non siano digiuni di dialettologia (siciliana e galloitalica), che sappiano orientarsi all’interno della linguistica storica. Ho scritto il libro presentato a Torino e in Monferrato proprio nell’intento di dare uno strumento di lavoro agli insegnanti. Per loro l’Assessorato alla Pubblica Istruzione della Regione siciliana, d’accordo con il Centro di Studi filologici e linguistici siciliani sta preparando dei corsi di aggiornamento (a Catania e a Palermo nel 2020; uno per provincia nel 2021 ed uno riservato ai Galloitalici). Insomma, nulla deve essere fatto in maniera approssimativa e senza conoscere contenuti e finalità di un percorso che può essere pericoloso se affidato a mani inesperte.
Che poi il dialetto, in quanto lingua materna, possa condizionare l’italiano che adoperiamo, sia a livello parlato che scritto, è un fatto naturale, che riguarda tutti i dialetti d’Italia. E ancora una volta è compito della scuola insegnare la corretta pronunzia, la corretta scrittura, il corretto uso del lessico dell’italiano. Senza terrorismo linguistico.
Per quel che riguarda il parlato è arcinoto che in Italia si parlano vari italiani regionali se non locali, piuttosto che lo standard. E allora, è opportuno consigliare un corso di dizione? No, assolutamente, ma evitare – questo sì – quelle forme condizionate dal dialetto che vanno sotto l’etichetta di “italiano popolare”, l’italiano di chi non è andato a scuola e che usa la lingua in maniera assai approssimativa. E tante volte certe forme di italiano spiccatamente regionale se non popolare affiorano nel nostro parlato senza che ce ne accorgiamo. È qui che la scuola deve acquistare consapevolezza ed educare di conseguenza, abituando l’allievo a sapersi ben destreggiare all’interno del patrimonio linguistico italiano a seconda delle situazioni e dei contesti comunicativi in cui viene a trovarsi e a interagire.
Linguisticamente il galloitalico si deve intendere un dialetto o una lingua vera e propria?
È questa una domanda che mi viene posta molte volte. Dico subito che dal punto di vista teorico qualsiasi sistema di segni verbali che serve per comunicare, è lingua. Da questo punto di vista – teorico, non storico – il dialetto, qualsiasi dialetto, è lingua. Sul piano storico e sociolinguistico, invece, non è così, perché mentre
a) una “lingua” è un sistema elaborato, standardizzato (fa cioè da norma, da punto di riferimento da parte di chi la parla e la scrive), copre un ambito territoriale assai più vasto di un semplice dialetto e viene adoperata per tradurre altre grandi lingue di cultura oltre che per i rapporti culturali, per le leggi, per la comunicazione ad ampio raggio (si pensi ai telegiornali e alle trasmissioni televisive),
b) il “dialetto” è un sistema senza elaborazione, non standardizzato, di ambito geografico limitato e spesso adoperato solo all’interno della famiglia. Nessuna legge, tanto per renderci conto della differenza tra i due sistemi linguistici, è scritta in dialetto.
Nella “Casazza” di Nicosia, l’antica rappresentazione sacra itinerante che si svolge nel periodo pasquale, risalente a molti secoli addietro e ripresa con successo dal 2016 con un seguito cospicuo di pubblico proveniente anche da varie parti della Sicilia, le recite in rima non prevedono l’uso del dialetto nicosiano. A cosa è dovuto tale mancanza, viste le origini risalenti all’immigrazione delle colonie “lombarde”, in questo caso specificatamente “ligure”?
Sulle origini liguri della Casazza di Nicosia non sono in grado di dire nulla. Tutti ne parlano, ma nessuno ha mai saputo dare prove concrete della sua liguricità. La parola non è registrata nei dizionari liguri nè mi è capitato di trovare altri elementi che attestino la sua liguricità. E poi la Casazza non è solo di Nicosia, ma di altre città della Sicilia che non hanno nulla da vedere con le immigrazioni galloitaliche. Per quel che ne so, tutte le parti recitative della Casazza di Nicosia – almeno nel manoscritto che ci è pervenuto – sono scritte in italiano.
Per il resto girerei il problema agli storici, ai quali chiederei: quando la Casazza è stata introdotta in Sicilia e, in particolare, se prima o dopo il Concilio di Trento.
Il 6 maggio scorso, è intervenuto nel convegno “Aleramici in Sicilia” organizzato a Nicosia, anticipando la notizia che, entro fine anno è previsto la pubblicazione del “Vocabolario galloitalico di Nicosia e Sperlinga”. È possibile avere in anteprima qualche particolare in merito all’impostazione del “Vocabolario”?
Posso dire, come ho già ribadito nell’incontro del 6 maggio scorso, che il Vocabolario del dialetto galloitalico di Nicosia e Sperlinga (di Trovato-Menza), ormai in dirittura d’arrivo, rappresenta la lingua e la cultura materiale delle due città. Esso è stato impostato in maniera da dare tutte le
coordinate (fonologiche, morfologiche, sintattiche, lessicali, culturali) delle parlate nicosiana e sperlinghese. Insomma, l’opera non è una raccolta di parole dialettali delle quali ci si limita a dare il traducente italiano. No davvero. In essa si trovano illustrati non solo il lessico e le attività della cultura materiale che riguardano Nicosia e Sperlinga, ma anche la grammatica del dialetto (ortografia del dialetto, morfologia del verbo, del nome e delle altre parti variabili del discorso, formazione delle parole, registrazione dei prefissi, dei suffissi e dei confissi che servono a formare le parole, sintassi, con particolare attenzione a ciò che una parola può reggere o da cui può essere retta,). Larga parte, inoltre, è riservata agli approfondimenti culturali (etnolinguistici). Insomma – lo dico con orgoglio – in Italia (e non solo) non c’è nulla di simile.
Grazie per questa amichevole conversazione, sicuramente utile a noi nicosiani e sperlinghesi, ma anche a tutte le popolazioni che ancora oggi parlano il dialetto galloitalico in Sicilia, d’altronde essendo Lei nicosiano, ha dimostrato grande senso di appartenenza alla nostra comunità, mantenendo vive le origini linguistiche e territoriali di provenienza.
Grazie, soprattutto a Lei, caro signor Spinelli. Agli altri Galloitalici di Sicilia sento il dovere di dire che sono in preparazione i Vocabolari dei dialetti di San Fratello, dell’area di Novara di Sicilia e, in seguito, anche quello di Piazza Armerina. In preparazione è pure una monografia dal titolo “Carta dei dialetti galloitalici della Sicilia”.
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A 154 anni dalla nascita di Carmelo La Giglia (1862-1922)    
nostro illustre concittadino - speziale e poeta in vernacolo galloitalico nicosiano

Nicosia, 15 maggio 2016
Onore al merito di Carmelo La Giglia. Caposcuola letterario assieme a Mariano La Via, di quello che, poteva essere considerato un "movimento intellettuale locale embrionale" a salvaguardia del dialetto galloitalico nicosiano scritto, a cui si sono ispirati il barone Giuseppe La Motta di Salinella e negli anni successivi altri personaggi locali, come il prof. Nicolò Messina, il prof. Sigismondo Castrogiovanni, la prof.ssa Francesca Fascetta Bonomo, la prof.ssa Grazia Gangitano, la prof.ssa Enza Giangrasso, la sig.ra Santina Campagna, la prof.ssa Francesca Fascetta e tanti altri.
La nostra linguistica dialettale, è propriamente da considerarsi una "eredità di bene immateriale", così come ci spiega il prof. Salvatore C. Trovato nel suo appassionato intervento lessico-letterario di commemorazione: il vernacolo tramandatoci, ha subito indubbiamente modifiche di "adattamento locale", esso è stato introdotto sin dalla venuta di "colonie lombarde"  nel XII sec. (e precisamente dal Monferrato piemontese) trapiantate a Nicosia ed in altre città della Sicilia orientale al seguito di normanni e svevi durante la loro colonizzazione dell'isola.
Il nostro concittadino "Don Càrmeno", nasce a Nicosia il 15 maggio del 1862 e all'età di  19 anni frequenta con buoni risultati il ginnasio di Caltagirone, comune sottoprefettura, così come Nicosia entrambi appartenenti fino al 1926 alla Provincia di Catania. Successivamente intraprende gli studi universitari approdando all'Ateneo degli studi di Catania per orientarsi alla professione di farmacista, il cui laboratorio era collocato proprio al civico 51 di via F.lli Testa nella centralissima arteria viaria della città natale, dove domenica 15 maggio 2016, è stato inaugurato il bassorilievo donato dal Rotary Club di Nicosia, che ritrae il poeta e speziale, opera bronzea del giovane e bravo scultore Gabriele Venanzio di Palermo.
Nella stessa serata, è stato anticipato da parte dell'architetto Salvatore Piccone del Rotary Club di Nicosia, la presentazione di un progetto di restauro relativo alla tomba del poeta, posta nella zona monumentale del cimitero di Nicosia e quindi soggetta ad autorizzazioni da parte della Soprintendenza di Enna.
Durante la manifestazione, presso l'androne del Comune di Nicosia, sono state lette poesie, da quelle più satiriche a quelle più soavi, destando ammirazione verso il nostro poeta.
La Giglia, attento osservatore e commentatore poetico-satirico della vita pubblica e sociale della città di Nicosia nel primo ventennio del '900, non esitò con i suoi "versi di fuoco" in vernacolo a spronare i politici locali ad un maggiore impegno per migliorare le condizioni di vita dei suoi concittadini e dell'intero circondario. I suoi versi potevano destare stupore, rabbia, sgomento, incredulità, ma erano la realtà della quotidianità, della vita vissuta di quel periodo. 
Questi versi producevano come una cassa di risonanza (non saprei come altro chiamarla) tra intellettuali, borghesi e classi popolari, ma per i politici erano soltanto uno spreco di parole.
Carmelo La Giglia, dopo tanti solleciti letterari alla classe politica nicosiana e una vita vissuta anche aiutando i più bisognosi, muore nella sua amata Nicosia il 6 marzo 1922 all'età di 59 anni per una cancrena ad una gamba.
Le sue opere scritte, rimangono come riferimento di guida per decine di poeti locali che, hanno intrapreso - per passione letteraria o senso di appartenenza - la strada della salvaguardia del nostro vernacolo galloitalico nicosiano, eredità immateriale indelebile della comunità nicosiana.
(sanspi)
(in aggiornamento)

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Nicosia, 24 Novembre 2012





La tradizione del dialetto galloitalico nicosiano e la sua conservazione, si rafforzano con una nuova pubblicazione 
di alto valore letterario


Presso la chiesa di San Calogero a Nicosia (En), è stato presentato il libro "Così... per gioco",  raccolta di poesie in dialetto galloitalico nicosiano della prof.ssa Francesca Fascetta Bonomo.
La cerimonia riuscitissima, ha visto un'ampia partecipazione di pubblico, coinvolto a seguire gli interventi (mai stancanti) che si sono susseguiti nel corso della serata, tra cui quello del prof. Salvatore Trovato, Ordinario di Linguistica Generale presso l'università degli Studi di Catania e quello del prof. Nino Contino, docente di Materie Letterarie presso il Liceo Scientifico Statale "E. Majorana" di Nicosia. 
    

(Cliccare sull'immagine per ingrandire)


(traduzione)
La vita è la cosa più bella che c'è

Mi addormento e mi risveglio;
vedo spuntare il sole
e riscaldarsi le mie ossa al suo calore.

Mi lavo il viso con le mani;
mi alzo sulle mie gambe
e non so capire,
quanto sono fortunata.

Mi vesto con abiti modesti e poco consumati;
esco di casa e, poi, inizio a pensare alle faccende
che devo portare a termine
durante questo nuovo giorno.

Corro di qua, corro di là, ancora un'altro po' ...
Non trovo mai riposo,
neppure per pensare,
a quanto è grande la mia ricchezza,
soltanto perché penso
e quindi, sono viva.

Soltanto allora, tra me e me dico,
che è un grande stupido colui che,
avendo questa grande fortuna tra le mani,
non sa apprezzarla
e neppure mantenerla.

(Francesca Fascetta Bonomo)

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UN GUSTOSISSIMO DOLCE TIPICO NICOSIANO
I bracialetë (in dialetto galloitalico nicosiano)
- NICOSIA - inserita il
Ricetta tratta da pag. 440 de:
Vocabolario-Atlante della cultura alimentare 
nella "Sicilia lombarda"
a cura dei professori Salvatore C. Trovato e Alfio Lanaia
collana: Materiali e Ricerche 27
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani
 Dipartimento di Scienze Filologiche e Linguistiche
 Università di Palermo
Palermo 2011
Atlante Linguistico della Sicilia
diretto da Giovanni Ruffino

I Braccialetti
La cosa: si tratta di una frittella in forma di bracciale che si fa generalmente nel periodo di carnevale (e Natale).
Ingredienti e lavorazione: farina, acqua, strutto e uova. Si porta a bollitura una certa quantità di acqua, ad es. mezzo litro, con un po' di strutto, perché l'impasto venga tenero, un po' di zucchero e della buccia di limone grattugiata. Vi si versa la farina, 400 grammi per mezzo litro di acqua, e si mescola il tutto finché l'impasto non si stacchi dal fondo della pentola. Si lascia quindi raffreddare in un  capace contenitore. Quando è freddo, a uno a uno vi si aggiungono le uova amalgamandole ben bene con l'impasto.
Quando questo è della consistenza dovuta, non troppo molle, per evitare la fritta, né troppo duro, con le mani unte di olio si formano delle listarelle (macarrönëtë) che si chiudono in braccialetti e si mettono a friggere nell'olio bollente. A cottura ultimata si cospargono di zucchero e cannella o anche di miele disciolto e son pronti da mangiare. 
Meglio se caldi.
È la stessa lavorazione delle sfëngë (> VII 13) e, in definitiva, dei bignè: Questi ultimi sono al forno, piuttosto che fritti.
Altre informazioni: è un prodotto di non facile realizzazione. Le uova vanno aggiunte uno alla volta, per evitare che un uovo in più possa compromettere la consistenza dell'impasto e far andare a male il tutto. 
E anche dispendioso. Oggi è possibile acquistare i braccialetti nelle pasticcerie. In passato si facevano solo nelle case in cui si poteva disporre di una certa quantità di uova e, in qualche modo, di molte galline, dal momento che in inverno la produzione delle uova calava notevolmente. Né queste si acquistavano come oggi nei supermercati o nei negozi di generi alimentari.
I Nicosiani vanno assai orgogliosi di questo loro caratteristico prodotto dolciario, che credono unico. I braccialetti nicosiani nella forma non differiscono dalle zeppole napoletane e cagliaritane, ma, rispetto a queste, sono assai più leggeri per le molte uova, e sono prive di lievito.
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dalla premessa del volume  di Salvatore C. Trovato
Professore ordinario di Linguistica generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania.

È forse la prima volta che ci si accosta ai dialetti galloitalici della Sicilia sulla base di testi accuratamente raccolti e tematicamente affini. E non tanto per rilevarne le peculiarità fonetiche o di altro tipo, su cui tanto si è scritto e tanto si è discusso al fine di individuarne i luoghi di origine, quanto per studiarne l'articolazione del lessico, in questo caso nel particolare settore della cultura alimentare, con grande attenzione per il dato culturale e nel rapporto costante con l'area siciliana circostante, con la quale i nostri dialetti per secoli hanno interagito e continuano a interagire, e ora anche con l'italiano. Certo, il vecchio problema della individuazione delle origini dei nostri dialetti - monferrini nel senso ampio, o valmaggini -, croce e delizia di chiunque si sia accostato ad essi, non si pone più o non si può più porre alla vecchia maniera.
Oggi, se ancora esiste un problema delle origini, non è quello di individuare le sedi storiche di emigrazione, ma, semmai, quello di conoscere le origini socio-culturali degli immigrati. Perché è chiaro che queste parlate, pur avendo conservato intatti non pochi dei caratteri originali - soprattutto fonetiche - hanno assai probabilmente eliminato i fatti lessicali più marcati, via via che si sono formate le koinè locali siciliano-galloitaliche.
L'indagine del lessico specialistico delle nostre parlate ........

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Per acquistare il volume: 
prenotarsi presso la cartolibreria AGORÀ 
di Scardino Santa
via Casale, 15 Nicosia (En)
cell. 366.3011647












                                     
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Beni immateriali di Nicosia
Il dialetto galloitalico 
nella variante più arcaica
Tratto da:
Nicosia: alla riscoperta della città
L'antico quartiere di San Michele Arcangelo
tra vie, vicoli, chiassi e cortili
testo della prof.ssa Alda Di Cataldo
Secondo Circolo Didattico "San Felice" - Nicosia
progetto di Curricolo Locale - plesso San Domenico
a.s. 2005 -2006
(su gentile concessione)

Nicosia esisteva anteriormente alla conquista normanna. Venne assediata dal Conte Ruggero nel 1062 e una serie di circostanze favorì tra la fine dell'XI e il XIII secolo l'immigrazione in Sicilia di gruppi provenienti dalla Liguria e dal Piemonte meridionale e dalla Lombardia.
A Nicosia le immigrazioni settentrionali si sovrapposero alla popolazione preesistente che abbandonò la parte alta della città, il quartiere di S. Maria Maggiore, preferita dai conquistatori Normanni e si stabilì nella zona bassa dando origine al quartiere di S. Nicolò, dal nome della nuova chiesa che la componente greco-bizantina vi costruì.
Di quella divisione iniziale si trovano ancora oggi tracce nello stesso dialetto che, pur se sostanzialmente unitario, per taluni tratti, soprattutto fonetici, è diverso nel quartiere galloitalico di S. Maria Maggiore e in quello di S. Michele rispetto a quello di S. Nicolò, sede della popolazione indigena dopo l'immigrazione (cfr. Trovato) 1998: 54).
Prospetto chiesa San Michele Arcangelo 
 Nicosia (En)
Nicosia, attualmente, è una delle colonie linguistiche galloitaliche della Sicilia studiate di più e da più tempo. Il suo repertorio presenta, oggi, a livello dialettale due codici:
- un galloitalico abbastanza vitale che mantiene numerosi caratteri originali italiani settentrionali, relativi alla fonologia, alla morfologia e ad alcune componenti della grammatica;
- un codice secondario, un "siciliano del posto" che rappresenta l'adattamento morfologico e lessicale del codice primario, il galloitalico, ai dialetti non galloitalici dei centri limitrofi. L'interferenza fra i due codici ha prodotto nel tempo modificazioni nell'uno e nell'altro codice anche se con modalità e in misure diverse.
I due quartieri più antichi della città, S. Maria Maggiore e S. Michele, sono i più conservativi per quanto riguarda il dialetto galloitalico. Infatti, dalle indagini effettuate dal prof. S. Trovato è emerso che la variante linguistica dell'idioma parlato nei sopraddetti quartieri è più arcaica e autentica e mantiene in misura prevalente, ancora oggi, i caratteri originari e rustici del galloitalico della madrepatria rispetto all'idioma parlato in altre zone della città. Tale diversità è ben visibile analizzando anche i testi in dialetto galloitalico di due scrittori nicosiani provenienti da quartieri diversi:
Nicolò Messina, scrivente nativo nel quartiere di S. Nicolò, soggetto a maggiori interferenze linguistiche;
Sigismundo Castrogiovanni, scrivente nativo nel quartiere conservativo di S. Michele, soggetto a minori contaminazioni esterne.
Durante le visite nel quartiere di S. Michele è stato inevitabile l'incontro con persone anziane che, sedute a gruppo nel cortile o sui gradini accanto alla porta della propria abitazione, lavorando all'uncinetto e "e gughje" discutevano  di fatti e "misfatti" del quartiere.
Si sono rivolti a noi con il loro idioma e devo dire che la loro parlata, sia nella riflessione che nei vocaboli, è ben diversa da quella utilizzata da alcuni miei allievi che vivono, comunque, nei due quartieri più conservativi e parlano e sentono parlare quotidianamente il galloitalico.
Le contaminazioni e le influenze sono poco evidenti nell'idioma parlato dagli anziani, sia perché sono vissuti in campagna sia perché il quartiere è ubicato nella zona periferica della città, poco raggiungibile e non passaggio obbligato, così è più facile, per loro, entrare in contatto con altre persone dei paesi vicini e subire, evidenti interferenze linguistiche.
I giovani, invece, escono dal quartiere e frequentano persone e luoghi diversi e, nonostante i nonni e gli anziani siano un baluardo per la difesa della varietà più autentica del galloitalico, si assiste, nella loro comunicazione, ad una epurazione dei termini "più stretti" e ad una sovrapposizione, alternanza e mescolanza di galloitalico, siciliano e italiano popolare; quest'ultimo è parlato da molti genitori per timore che i propri figli possano avere difficoltà nella lingua nazionale e un conseguente insuccesso scolastico.
Tutto ciò può comportare, anche nelle giovani generazioni che vivono nei quartieri più conservativi, ad un'assimilazione del galloitalico al siciliano o all'italiano popolare con l'inevitabile perdita di un patrimonio culturale immateriale che ha caratterizzato il paese per molti secoli.
Se non salvaguardato e studiato, come si sta sperimentando in qualche scuola secondaria di primo grado, inevitabilmente il galloitalico andrà in estinzione. Infatti l'esodo dalle aree rurali, la perdita di antiche tradizioni, l'influenza dei mezzi di comunicazione di massa, positivi per altri versi, la globalizzazione culturale e la sottocultura rendono particolarmente vulnerabile tale eredità immateriale.
Ma proprio per questa sua natura, è indispensabile che il galloitalico venga valorizzato e salvaguardato in quanto elemento essenziale dell'identità culturale di un territorio e della sua comunità.
Il dialetto non può né deve sostituire la lingua italiana, espressione di unità nazionale e di uguaglianza linguistica e sociale, ma dovrebbe essere conosciuto, compreso e parlato nella sua forma originaria nei contesti adeguati e nelle interazioni comunicative familiari, perché patrimonio significativo della cultura locale e strumento in grado di veicolare con maggiore efficacia, arguzia e vivacità, rispetto all'italiano, espressioni, battute, aneddoti  e soprattutto il patrimonio culturale immateriale.
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Alcuni versi della poesia in dialetto nicosiano "Il voto"
di Carmelo La Giglia (Nicosia 1862-1922)
Traduzione:
Io sono amico del popolo basso,
e lo rispetto come quello più elevato;
vorrei con premura che facesse un salto
per trovarsi a livello del ricco e dell'arrichito

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"Risonanze di Memoria"

Per ricordare Sigismundo Castrogiovanni (1933-2007), maestro e poeta dialettale nicosiano


Presso l'Aula Magna del Liceo Classico "F.lli Testa" di Nicosia, martedì 3 giugno, è stato presentato il libro "Risonanze di Memoria", raccolta di poesie e fotografie dedicato alla memoria di Sigismundo Castrogiovanni. La manifestazione a ricordo della figura e del lavoro del maestro nicosiano, che con il suo impegno professionale e sociale, ha mantenuto vivo culturalmente l'interesse delle nuove generazioni di nicosiani verso il dialetto gallo italico, è stata seguita da una nutrita presenza di pubblico. Egli ci tramanda poesie e componimenti vari, di cui molti in attesa di pubblicazione.