POLITICA, ETICA DELLA RESPONSABILITA' E RESPONSABILITA' ETICA.

di Ignazio Di Stefano
POLITICA: esercizio del potere in una società organizzata.

Così definita, la politica può essere intesa anche come l’insieme delle ragioni per obbedire e di quelle per ribellarsi.
E’ evidente, dunque, che debba esserci chi comanda e chi obbedisce. Ma non sarebbe meglio se non comandasse nessuno? Non sarebbe meglio evitare tutti i conflitti? E’ ciò che propugnano gli anarchici perché per loro il vero bene è non essere comandati da nessuno, perché in quel caso ciascuno obbedirebbe non ad un individuo fallace e capriccioso, ma alla bontà della natura umana: infatti in una società senza politica non esisterebbero conflitti.
Ma è pensabile una società senza conflitti? Evidentemente no, perchè laddove esiste l’interesse (che possiamo tradurre con i desideri), lì esistono i conflitti; essi esistono, infatti, perché i nostri interessi si assomigliano troppo fra loro e per questo cozzano gli uni contro gli altri. Dunque più le aggregazioni umane diventano grandi, più sono gli interessi in gioco, più crescono i conflitti.
La politica nasce per tentare di ostacolare certi conflitti, di incanalarli e di ritualizzarli, di impedire che crescano fino al punto di distruggere come un cancro il gruppo sociale. E’ per questo che ognuno di noi è disposto a rinunciare ad un po’ della sua libertà (la capacità di rispondere con un sì o con un no a determinate situazioni), delegandola ad un’entità superiore (stato/governo), che diriga il gruppo quando è necessario e possa realizzare ciò che ognuno di noi, da solo, non sarebbe mai in grado di realizzare, come la difesa del gruppo, costruzioni di opere pubbliche di grande utilità, assistenza a chi viene colpito da qualche catastrofe collettiva, organizzazione di feste e celebrazioni che rafforzino nei membri della comunità il sentimento di unità civile e di appartenenza, il mutuo soccorso; ma anche la prevenzione di certi mali collettivi, favoriti da pochi individui mossi da interessi miopi (quali la distruzione delle risorse naturali o lo sfruttamento di esse a fini personali) e la garanzia di un minimo di istruzione che assicuri ad ogni membro del gruppo la conoscenza del tesoro di saggezza ed esperienza accumulato nel corso dei secoli da coloro che lo hanno preceduto.
Aristotele diceva che “L’uomo è un animale sociale, un animale politico” (ma questo non significa, tuttavia, che i politici siano degli animali).
Immanuel Kant, riferendosi all’antagonismo naturale degli individui, diceva che gli uomini sono dotati di “insocievole socievolezza”, ovvero che il nostro modo di vivere in società non si limita all’obbedienza e alla ripetizione, ma prevede anche la ribellione e l’inventiva.
Tuttavia, non ci ribelliamo contro la società, ma contro una società ben precisa. Non disobbediamo perché abbiamo deciso che non vogliamo più obbedire a niente e a nessuno, ma perché per obbedire esigiamo ragioni più convincenti di quelle che ci sono date e capi che ci governino con un’autorità più rispettabile. Siamo sociali quando obbediamo per ragioni che riteniamo validamente motivate, ma lo siamo anche quando disobbediamo e ci solleviamo in nome di altre che ci sembrano più importanti. Ecco perché Kant disse che gli individui sono “insocialmente socievoli” e non “asociali” o “antisociali”.

ETICA: parte della filosofia che si occupa della morale.

ETICA DELLA RESPONSABILITA’
Nel saggio “La politica come professione” Max Weber distingue tra etica della responsabilità ed etica della convinzione. In cosa consiste questa differenza? Dice Weber, l'etica della convinzione è quella di chi segue rigorosamente i propri principi assoluti senza preoccuparsi delle conseguenze che avrà la propria azione; viceversa, colui che agisce secondo l'etica della responsabilità tiene sempre presente le conseguenze di ciò che farà, gli effetti della propria azione. E, dice ancora Weber, solo questa seconda è un’etica veramente politica, perché l'etica della convinzione (quella che guarda ai principi puri, ai principi assoluti senza preoccuparsi delle conseguenze) è un’etica impolitica. Viceversa l'etica del politico deve essere sempre in qualche modo un'etica responsabile, cioè un'etica che tiene conto di quali saranno le conseguenze, gli effetti di ciò che si fa. Lo stesso Weber è consapevole del fatto che l'etica della responsabilità, che abbiamo visto essere l'unica etica che l'uomo politico può fare propria, non essendo un'etica assoluta, non seguendo principi assoluti ma tendendo sempre a fini determinati, è costretta, spesso, per ottenere quei dati fini positivi buoni, a servirsi di mezzi e di strumenti che a volte non sono altrettanto buoni. Questo è un grande tema anche dello stesso Machiavelli: chi vuole agire in questo mondo e ottenere determinati risultati, a volte è costretto a fare dei compromessi con la realtà, a fare dei compromessi, diciamo, con i poteri di questo mondo.
Mentre per l'etica assoluta della convinzione il bene scaturisce solo dal bene, per l'etica relativa della responsabilità a volte il bene può derivare anche dal male, anche da un metodo cattivo. Questo è il grande problema del rapporto tra etica e politica, che non si può nascondere e che non si può semplificare dicendo semplicemente: la politica deve diventare morale e la politica deve diventare etica. Certo ciò non significa che l'uomo politico non debba tendere sempre a costituire condizioni sempre migliori per il maggior numero di individui, che non debba sempre cercare di fare, per così dire, compromessi sempre più alti con la realtà; ma con la consapevolezza che si occupa di qualche cosa, usa un materiale (la politica), che non coincide e non può totalmente coincidere con l'etica.
Oggi si assiste a un'eclissi dell'etica della responsabilità. Si potrebbe forse dire, generalizzando, che la destra è spesso cinicamente responsabile e la sinistra giulivamente irresponsabile. La prima se ne frega dei principi e persegue coerentemente i propri obiettivi e i propri interessi, nelle forme e nei modi che sembrano più adeguati al raggiungimento di tali scopi. Se qualcuno, al suo interno, vilipende il tricolore e qualcun altro lo sventola di continuo, essa non si lacera pubblicamente in polemiche sul valore della bandiera, di cui assai poco le importa, perché esibire questo conflitto nuocerebbe ai suoi interessi. La sinistra, invece, è piena di gente vogliosa soprattutto di dire la sua, di gridare i propri sentimenti, le rabbie, le delusioni e di esibire la nobiltà e la sensibilità della propria anima bella, senza preoccuparsi se i modi e le forme in cui ciò avviene oggettivamente aiutano oppure ostacolano l'affermazione e la difesa di quei valori in cui si crede e per i quali si combatte e per i quali, se veramente si crede in essi e non solo nel proprio stato d'animo, bisognerebbe essere pronti a sacrificare qualcosa, anche - se necessario - le effusioni del proprio stato d'animo.

RESPONSABILITA’ ETICA
Le libertà pubbliche, regolate dalle leggi, implicano delle responsabilità: essere responsabili significa essere capaci di rispondere per ciò che si è fatto, e questo riconoscimento delle proprie responsabilità implica almeno due atteggiamenti importanti: primo, dire «sono stato io», quando gli altri vogliono sapere chi ha fatto determinate azioni che hanno causato, più o meno direttamente, determinati effetti (buoni, cattivi o tutt'e due insieme); secondo, essere capaci di dare spiegazioni quando ci chiedono il perché delle nostre azioni. «Rispondere» ha a che fare con «parlare», articolare una comunicazione con gli altri. In democrazia, la verità delle azioni che avranno ripercussioni pubbliche non appartiene mai soltanto all'agente incaricato di compierle, ma si stabilisce in dibattito, più o meno polemico, con il resto della comunità. Anche quando si è convinti di avere delle buone ragioni bisogna essere disposti ad ascoltare quelle degli altri senza rinchiudersi a oltranza nelle proprie, perché altrimenti si arriva alla tragedia e alla pazzia. Don Chisciotte si considera un cavaliere errante, ma evidentemente qualche volta dovrebbe ascoltare l'opinione di coloro che lo circondano e valutare l'impatto sociale delle sue discutibili «prodezze». Non lo fa perché è pazzo, cioè perché è diventato un irresponsabile. Naturalmente assumersi le proprie responsabilità ed essere capaci di giustificarle di fronte agli altri non sempre vuol dire rinunciare alla propria opinione per piegarsi a quella della maggioranza. Dopo aver esposto le sue ragioni e non esser riuscita a persuadere il resto della collettività, però, la persona responsabile deve essere disposta anche ad accettare la censura o l'emarginazione che derivino dalla sua dissidenza. Le parole di Socrate nel dialogo platonico “Critone”, quando si rifiuta di fuggire dal carcere e preferisce affrontare la condanna a morte piuttosto che abdicare alle sue idee, sono il simbolo della massima maturità civica.
Gli irresponsabili possono essere di molti tipi. Ce ne sono di quelli che non si prendono mai la responsabilità di quello che hanno fatto: «la colpa non è mia, è delle circostanze». Loro non hanno mai fatto niente, la colpa è sempre del sistema politico ed economico vigente, della propaganda, dell'esempio degli altri, della propria educazione o della mancanza di essa, di un'infanzia infelice, di un'infanzia troppo felice e viziata, degli ordini dei superiori, degli usi comuni, di una passione travolgente, del caso... E anche dell'ignoranza: poiché non sapevo quali sarebbero state le conseguenze del mio gesto, non ne sono responsabile.
Un'altra forma di irresponsabilità è il fanatismo. Il fanatico si rifiuta di dare qualunque tipo di spiegazioni: predica la sua verità e basta. Siccome è convinto di incarnare la strada giusta, quelli che lo mettono in discussione sono sicuramente mossi da indegne passioni o da sporchi interessi, o accecati da qualche miraggio. Il fanatico non si considera responsabile davanti ai suoi concittadini, ma solo davanti a un'istanza superiore e naturalmente inappurabile (Dio, la Storia, il Popolo, o qualunque altra parola con una simile maiuscola): le precauzioni e le leggi comuni non son fatte per gente come lui, che ha una missione trascendentale da compiere...
In genere meno terrorista, ma molto più diffusa, è l'irresponsabilità che potremmo definire burocratica. È caratteristica delle istituzioni amministrative e governative nelle quali non c'è mai nessuno che si esponga per quel che è stato fatto o non è stato fatto: l'addetto è sempre un altro, il foglio viene dall'ufficio del piano di sopra, questo è materia di un'altra intendenza, quello lo hanno deciso i superiori (che non si sa mai chi siano), oppure l'hanno capito male i sottoposti (è pur vero che a volte qualche dirigente insignificante salta, ma sempre per impedire che si cerchino le vere responsabilità). Lo stile dell'irresponsabilità burocratica è caratterizzato dal fatto che quasi mai qualcuno si dimette, succeda quel che succeda: né per corruzione politica, né per incompetenza ministeriale, né per gli errori eclatanti che i cittadini devono pagare di tasca loro, né per la lampante inettitudine nel risolvere i problemi di cui si era garantita la soluzione. Siccome il governante sa di essere un irresponsabile, fa in modo che il tessuto istituzionale lo aiuti a godere dell'immunità. Qualunque denuncia di abuso, per fondata che sia, è presentata come il complotto di una maliziosa campagna avversaria. Quanto all'indignazione degli umili cittadini, espressa attraverso i mezzi di comunicazione, si applica l'antico principio del «parlate pure, che tanto...».
Cerchiamo di essere chiari: gli irresponsabili sono i nemici più pericolosi della libertà, che lo sappiano o no. Tutto ciò che non vuole responsabilità, in fondo rifiuta le libertà pubbliche, che sono incomprensibili se svincolate dall'obbligo di rispondere ognuno di se stesso. Libertà è autocontrollo: o ci teniamo sempre vicino un poliziotto, un medico, uno psicologo, un maestro, un giudice e magari un prete perché ci dicano ciò che dobbiamo fare in ogni preciso istante della nostra vita, oppure prendiamo le nostre decisioni e dopo siamo capaci di affrontarne le conseguenze, nel bene e nel male.
Essere liberi significa anche potersi sbagliare e far male a se stessi: se ci crediamo liberi perché non può succederci mai niente di male o di spiacevole... vuol dire che non lo siamo. In fin dei conti, l'Illuminismo politico che a metà del diciottesimo secolo sfociò nella democrazia moderna - come, a suo tempo, disse Immanuel Kant - presuppone che gli uomini siano diventati politicamente maggiorenni. Se siamo adulti, possiamo essere liberi e tutti uguali davanti alla legge; in caso contrario, abbiamo bisogno di una Entità superiore (stato/governo) che ci difenda da noi stessi, cioè che limiti, guidi e amministri la nostra capacità di agire liberamente.

Ma quel senso di responsabilità, liberato da ogni dottrinario fanatismo, rimane la premessa di ogni autentica azione umana e politica; se sparisce, non resta niente.
Responsabilità etica significa pagare il prezzo e la rinuncia che ogni azione richiede, non pretendere di avere la moglie ubriaca e la botte piena. Chi, ad esempio, crede che l'attuale amministrazione sia un male grave per la nostra città dovrebbe far di tutto (compresa qualche rinuncia ai propri obiettivi particolari e ai propri impulsi istintivi – opportunità -) per unificare tutte le forze politiche che si oppongono all’amministrazione, cosa che è indispensabile per poterla battere alle elezioni. Se non si è disposti a questo piccolo sacrificio, se l'affermazione della propria particolarità è più importante della sconfitta dell’amministrazione, non si può dipingere quest'ultima come il male.

La vita politica è fatta in tanti luoghi, egualmente legittimi purché rispettosi delle leggi e delle regole fondamentali della democrazia: in Parlamento, nelle piazze, nelle sedi dei partiti, nelle associazioni, nella testimonianza resa nel proprio lavoro. In ogni caso, quel che conta o dovrebbe contare è tornare a casa, la sera, contenti non solo di aver cantato le canzoni che commuovono il nostro cuore o di aver tuonato contro l'avversario, ma soprattutto, se possibile, di aver convinto almeno un elettore della parte avversa a cambiare la prossima volta il suo voto.

Ignazio Di Stefano