2 Agosto 1943
Una vittima civile nella ritirata tedesca da Nicosia
nel ricordo del nipote prof.
Salvatore Trovato
La zia Mita
Foto 1 - 14 giugno 1942. Foto ricordo della prima comunione e della cresima di Anna Lo Grasso e della madrina Domenica Trovato (zia Mita) (Foto Provenzale) |
Il
26 gennaio di questo 2013 si presentava a Nicosia un mio libro. Qualche giorno
prima avevo telefonato ad alcuni miei compagni del liceo, per invitarli. La
prima, in ordine alfabetico, era stata Maria Rosa Arrigo, professoressa di
latino e greco nel nostro vecchio liceo. Sarebbe certo venuta. Con vivo
reciproco piacere. E così, tra le varie cose dette, i come stai, cosa fai, sei
ancora in servizio, ecco una domanda inattesa: se mai avessi perduto in guerra una
parente, una giovane ragazza. Con i suoi allievi e i colleghi del liceo la
prof.ssa Arrigo stava conducendo una ricerca sui giorni tristi dell’incursione
angloamericana in Sicilia e a Nicosia in particolare.
Il mio pensiero andò subito alla zia Mita, a mia zia
Mita, che io non conobbi se non in una fotografia. Tanto bella e buona, mi
dicevano mia madre e le mie zie. Io la conoscevo solo per una foto fatta
insieme a una bambina, Anna Lo Grasso, nel giorno della cresima e della prima
comunione della piccola, cui la zia fece da madrina (foto 1), il 14 giugno
1942.
La conobbi, Anna, da bambino.
Era giovane madre di uno o due bambini e abitava nella porticina più piccola dello stabile in cui nel 1960 i fratelli Sutera avrebbero aperto il panificio san Giuseppe, in via Giovanni Garigliano. Di Anna, dopo l’apertura del panificio, non seppi più nulla, né dei suoi bambini. Forse emigrò ed ora, se è viva (come spero), deve essere poco meno che ottantenne.
Maria Rosa Arrigo era in possesso di una foto ripresa dagli Americani e da questa io avrei dovuto riconoscere mia zia. Me la mostrò dopo la conferenza e non ebbi dubbi. Pur se sofferente, pur se nello spasimo della gamba dilaniata, quel viso bellissimo era della zia Mita, di mia zia Mita. Dopo qualche giorno Maria Rosa mi fece pervenire la foto, che potei osservare e studiare al computer, ingrandendola. Ora è riprodotta come documento prezioso in questo mio scritto (foto 2).
La conobbi, Anna, da bambino.
Era giovane madre di uno o due bambini e abitava nella porticina più piccola dello stabile in cui nel 1960 i fratelli Sutera avrebbero aperto il panificio san Giuseppe, in via Giovanni Garigliano. Di Anna, dopo l’apertura del panificio, non seppi più nulla, né dei suoi bambini. Forse emigrò ed ora, se è viva (come spero), deve essere poco meno che ottantenne.
Maria Rosa Arrigo era in possesso di una foto ripresa dagli Americani e da questa io avrei dovuto riconoscere mia zia. Me la mostrò dopo la conferenza e non ebbi dubbi. Pur se sofferente, pur se nello spasimo della gamba dilaniata, quel viso bellissimo era della zia Mita, di mia zia Mita. Dopo qualche giorno Maria Rosa mi fece pervenire la foto, che potei osservare e studiare al computer, ingrandendola. Ora è riprodotta come documento prezioso in questo mio scritto (foto 2).
Non
seppi non piangere nel vedere ingrandita la foto e ancor più il bel volto della
zia pervaso dal dolore.
I tedeschi le spararono – mi diceva mio padre, mia
madre, i miei zii – i tedeschi. Ma i tedeschi, pensavo giovane studente delle
medie e del liceo, non erano nostri alleati? O almeno, non erano ancora nostra
alleati? Perché mai avrebbero dovuto spararle? La povera zia, che abitava con i
nonni e gli zii in un settore del palazzo occupato dalle Canossiane, aveva
preparato il pane per i rifugiati della grotta dello stesso palazzo. Una grotta
che dava nel cortile, nel cui ingresso, negli anni Sessanta, prima che il
palazzo venisse inopinatamente abbattuto e ricostruito, era stata ricostruita
la grotta di Massabielle con la Vergine Santa, Bernadette e una vasca dentro
cui scorreva l’acqua messa in moto da un apposito congegno. Lì, proprio lì,
mentre si accingeva a entrare nella grotta, venne raggiunta alla gamba destra
da un proiettile sparato dai tedeschi, due soldati tedeschi ormai braccati
dagli americani.
Ma
vediamo di ricostruire i fatti e di leggere l’immagine pietosa e straziante
scattata da Robert Capa, al seguito dell’esercito americano.
Fu
un soldato tedesco a colpirla alla gamba destra, con un colpo di pistola. Gli americani
erano arrivati e la zia Mita pare che avesse gridato «Gli Americani!». Lo
spavento e la rabbia spinse i tedeschi a sparare sulla popolazione inerme e
sulla giovinetta, che alle spalle dei tedeschi in fuga vedeva salir su da via
Francesco Salomone gli americani. Fuggivano verso Santa Maria i due tedeschi,
forse verso il castello dove erano stati posizionati cannoni, o più
verosimilmente verso la Porta Abbìa, attraverso cui forse avrebbero potuto ricongiungersi
agli altri in ritirata verso Cerami e Troina, protetti dalla interruzione delle
macerie causate dallo scoppio di una scarica esplosiva sulla statale 117 fatta
brillare nella zona del Macello.
I
tedeschi da via Antonio Gussio avevano sparato sugli americani che avevano già
riempito la piazza di Nicosia. E gli americani cercarono di prenderli alle
spalle risalendo la via Francesco Salomone, parallela alla via Antonio Gussio. Fu
proprio in questo frangente che la zia Mita vide i tedeschi fuggire verso Santa
Maria e alle loro spalle gli americani. E gridò «Gli americani!». I tedeschi spararono e la colpirono. Poi,
forse, furono presi prigionieri.
Di
certo sappiamo che la bella e buona zia
Mita venne ferita e soccorsa immediatamente dai parenti, dai vicini e dagli americani
sopravvenienti, come si evince dalla
fotografia. Dal papà per primo, il mio povero nonno Paolo.
Agli
americani va il merito, a Robert Capa per primo, di aver fotografato quei
tragici momenti e di averceli conservati alla memoria.
La
soccorsero, gli americani, come meglio poterono. Pare, infatti, che le abbiano
fatto una iniezione, per lenire lo strazio. Il nonno con calma disperata e
piena d’amore le fascia la gamba, la destra, non la sinistra come si legge
nell’atto di morte. Una donna, forse una delle mie zie, Maria o Rosina, le
tiene la gamba. Il suo braccio delicato si poggia sulla spalla del papà. Un’altra
donna, donna Peppina a Bifaredda
(Iraci Sareri Giuseppa), le sorregge la testa e un uomo, un amico di famiglia,
il sig. Marco Gullotta (genero di donna Peppina), in ginocchio, le tiene
l’altra mano.
La
portarono in ospedale. Un piccolo ospedale di provincia in tempo di guerra,
quello di Nicosia. Sicuramente non attrezzato per l’amputazione. Il 2 agosto, mentre
ancora continuavano i bombardamenti ed era iniziata la battaglia di Troina, la
zia morì di setticemia. A mezzogiorno. Ricevette solo la benedizione del
cappellano dell’ospedale e i fratelli sotto le bombe la portarono al cimitero. Non
fu facile per loro raggiungere il cimitero sotto i bombardamenti aerei, con una
bara al seguito.
A lei, buona e bella, toccò l’abbraccio della misericordia di Dio, ai familiari lo strazio della perdita.
A lei, buona e bella, toccò l’abbraccio della misericordia di Dio, ai familiari lo strazio della perdita.
Prof. Salvatore C. Trovato |
Alla
società civile impone un ricordo che resti nel tempo, come per le altre vittime
immolate in quei tragici giorni. Nell'auspicio che la storia mai più si ripeta,
anche se la storia ha sempre insegnato ben poco gli uomini.
Catania, 12 aprile 2013
Catania, 12 aprile 2013
Documenti
1. Da Giuseppe Di Franco, La guerra in Sicilia e i segni celesti in Agira, Roma Tipografia
Russo, 1950
p.
76: Contrariamente ai voleri della cittadinanza di Nicosia i tedeschi
piazzavano […] cannoni al Castello, […] pronti a tirare contro di essa che
mostrava il suo giubilo per gli anglo-americani. Per fortuna, quando costoro si
preparavano a far fuoco, venivano accerchiati e presi alle spalle dagli
Alleati.
Costretti alla fuga, prima di lasciar
Nicosia, prendevano a colpi di rivoltella una giovinetta certa Trovato, che
gridava con gioia. «Gli Americani arrivano!», ferendola gravemente. In ultimo
facevano brillare una mina al macello, il cui spostamento d’aria mandava in
frantumi i vetri e le imposte dell’abitato.
Dopo una breve resistenza sul piano S.
Giacomo le forze dell’Asse si dirigevano verso Troina, contrastando il terreno
agli Alleati palmo a palmo in quelle zone montuose, dove faticosa era la loro
avanzata.
2. Da Luigi Anello, La battaglia di Troina, Messina, Zona, 1971
p. 18: Nel pomeriggio del 27 luglio, nel
settore di Nicosia, provenienti da Petralia, gli Americani del 16° Regg. di
fanteria, dopo tre ore di fuoco d’artiglieria, costrinsero le forze tedesche e
il 1° Battaglione del 6° fanteria «Aosta» ad un limitato arretramento su una
posizione meno esposta.
p. 19: [L’indomani, 28 luglio] gli
americani del 16° fant. entravano facilmente a Nicosia, superando una piccola
ed insignificante scaramuccia nella Piazza Garibaldi.
Due
tedeschi della retroguardia, quando videro arrivare sulla piazza i soldati
nemici, dalla via A. Gussio, cominciarono a sparare con i loro mitra,
costringendoli ad un precipitoso fuggi-fuggi. Ma uno degli americani, girando
attorno alla Cattedrale e correndo per le vie adiacenti, con l’aiuto anche dei
civili, arrivò alle spalle dei due e li fece prigionieri (testimonianza del
Dott. Giuseppe Burgo).
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Si ringrazia per la gentile collaborazione, il prof. Salvatore Trovato (nicosiano), professore ordinario di Linguistica generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania