"VIRESCIT VULNERE VIRTUS"



“VIRESCIT VULNERE VIRTUS”
di Salvatore Trovato*
tratto da: “Saggi di toponomastica nicosiana “
pagg. 83-86
edizioni Valdemone, via Casale - Nicosia (1997)
(su gentile concessione dell’autore)

Sull’architrave di una finestra poco alta sul piano della strada, sulla via Diego Ansaldi tra i numeri civici 7 e 9, a Nicosia, è incisa la data 1653 e l’emistichio VIRESCIT VULNERE VIRTUS, cioè “per la ferita si accresce il valore”.
Se la data, in mancanza di annali della città e di precise notizie d’archivio, non dice nulla, la sequenza latina, di primo acchito almeno, non può sembrare altro che la stravaganza di un qualche erudito che in quell’epoca abitò quella casa.
Il motto latino, infatti, appartiene all’antico poeta latino Furio Anziate (II sec. a. C.), autore di un perduto poema di Annales. La sopravvivenza del verso, che nella sua interezza risuona Increscunt animi, virescit vulnere virtus, è dovuta alla curiosità erudita di Aulo Gellio (II sec. a. C.), il quale appunto nelle sue Noctes Atticae (18.11. ediz. Hosius 1903, II; 251-52) lo ricorda per la presenza dei verbi in –sco, pienamente poetici per Gellio, per nulla poetici per il grammatico Cesellio Vindice, col quale Gellio al proposito polemizza.
Tornando alle motivazioni della nostra iscrizione, ci si accorge che l’ipotesi della stravaganza erudita perde terreno se si dà il dovuto rilievo e una serie di indizi relativi alla storia di Nicosia, capaci di gettar luce su quelle motivazioni: il posto in cui l’iscrizione è collocata, il contenuto di essa e la data.

1. Le rivalità tra Mariani e Nicoleti

Va subito ricordato, infatti, che la storia medievale e moderna della città è caratterizzata dalla lotta secolare tra gli abitanti del quartiere di Santa Maria (Mariani) e quelli del quartiere di San Nicolò (Nicoleti). Lotta etnica all’inizio – e cioè fin sulle soglie del XIV seolo – che si trasforma dal Quattrocento in poi in lotta per la preminenza dell’una o dell’altra chiesa. Nicosia, com’è noto, dopo la conquista normanna della Sicilia, ricevete una colonia di gente proveniente dal Piemonte meridionale (Monferrato) e dell’entroterra ligure. I nuovi venuti – cui nella prima metà del XIII secolo si aggiunsero i Lombardi di Vaccaria – dovettero convivere coi vecchi abitanti, greci di rito se non di lingua. La convivenza dovette essere difficile fin dall’inizio.
Relativamente tardo (1340) è un atto di pace (La Via 1898: 478-515) dal quale si ricava la notizia della rivalità tra gli abitanti dei due quartieri. Da quel documento si apprende che Mariani e Nicoleti erano soliti sfidarsi in campo aperto in una località ancora oggi denominata Serra Battaglia.
Posteriormente a quella data le zuffe divennero meno cruente e si trasformarono in lotta per la preminenza del proprio campanile. Primi attori, questa volta, furono i preti delle due chiese, che fino al 1847 (anno dell’unificazione dei due Capitoli), al fine di avere riconosciuta la superiorità della propria chiesa sull’altra, sperperando ingenti somme per le cause nei tribunali di Messina, Palermo, Napoli e Roma.
Anche i cittadini dei due quartieri presero parte attiva alle lotte, per la storia delle quali si rimanda a Gioco 1972. Ai nostri fini è utile ricordare che la città fu a lungo divisa in due parti. Già negli scrutini del 1413 (Barbato 1919: 116) si fa distinzione tra i giudici quarterji Sanctae Mariae e quelli quarterji Sancti Nicolai. Successivamente, nel 1577, l’Arcivescovo di Messina, Mons. Giovanni Rettana, a dirimere le rivalità sempre più insostenibili tra le due fazioni, è costretto pro bono pacis a ordinare che le due chiese si considerassero principali e matrici nell’ambito del loro territorio «separata una ab alia ac si fuerint situate in duabus civitatibus nec una dependant ab alia» (in Gioco 1972: 67). Tale decisione sancì di diritto una divisione esistente di fatto.
Il «peliere» (nell’attuale Piazzetta Leone II, all’imbocco di via Francesco Salomone), infatti, segnava il confine tra i due quartieri, mentre una zona nullius, che partendo proprio dal piliere si estendeva fino alla chiesa di San Giuseppe, fungeva da cuscinetto.
Non era poi raro, sul piano degli usi e dei costumi vigenti nella città, che ragazzi e giovanotti che sconfinassero al di là dei limiti del loro quartiere, fossero fermati da coetanei dell’altro che «con modi spavaldi – scrive M. La Via (1898: 494-95) – chiedevano loro: - Chi viva?». Guai a non rispondere «Viva Santa Maria» se i fermati erano del quartiere di San Nicolò, e viceversa.
Tornando alla nostra iscrizione, va notato che il posto in cui essa è collocata è proprio in sulla porta del quartiere di Santa Maria: subito dopo la chiesa di San Giuseppe e all’inizio dell’attuale via Diego Ansaldi. Sulla base di tutto ciò, l’ipotesi della stravaganza erudita del proprietario secentesco di quella casa perde terreno, e l’iscrizione e il posto in cui essa si trova impongono ben altre motivazioni.

2. L’aspra minaccia

Passando ora al contenuto dell’emistichio latino e rapportando ancora una volta all’ambiente nicosiano, non si è lontani dal vero nel sostenere che esso ha tutta l’aria di una vera e propria minacia: <>. E si tratta di un modo finanche fine di avvertire i Nocoleti, che forse, in quel lontano 1653, avevano recato offesa ai Mariani, e dir loro con le parole di Furio Anziate quanto, in maniera certamente meno fine, si dice con un proverbio dialettale: chi tira primö tira ncaddandö, chi tira secöndö tira ciangëndö. E cioè: ‘chi tira per primo colpisce con qualche esitazione l’avversario, chi risponde all’attacco colpisce invece con la rabbia e il dolore della ferita’.
Anche il contenuto, perciò, se la mia ipotesi coglie nel segno, contribuisce a motivare quell’iscrizione in rapporto al clima storico-culturale che la città visse per molti secoli: la lotta perenne tra le due fazioni, quella degli immigrati settentrionali contro quelli degli autoctoni.
Avara di notizie precise è la storia della città. Così, se la data dell’iscrizione è precisa ed inequivocabile – il 1653 appunto -, muti sono, relativamente a quella data, i pur ricchi archivi capitolari delle due chiese. È sicuramente la piccola storia dei fatti di ogni giorno – quella non registrata nei documenti scritti – che ha prodotto a Nicosia questa iscrizione. Essa vuol mettere in sull’avviso la tracotanza e la temerarietà dei Nicoleti con un linguaggio metaforico e con un verso assai peregrino, incomprensibile ai più. Ma certo tra i Nicoleti c’era chi aveva occhi per vedere e orecchi per intendere.
Prof. Salvatore Trovato

*(Ordinario di Linguistica generale presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Catania)